Il 25 aprile rappresenta
non solo il trionfo della resistenza su ogni forma di tirannide, ma
anche l’affermazione dello stato di diritto e della libertà su tutte le forme
di dittatura e di esclusione sociale, economica e politica. Non a caso, i
nostri padri costituenti, nel comporre la nuova costituzione italiana,
insistettero sugli aspetti sociali ed economici: sulla tutela dei più poveri e
delle minoranze religiose, politiche e linguistiche. Si volle allora dare un
assetto armonico ed equilibrato ad una società distrutta dalla dittatura, dalle
lotte sociali, dalla lunga e rovinosa guerra
mondiale.
I decenni che seguirono la nascita e lo sviluppo della
Repubblica italiana furono piene di cambiamenti e di trasformazioni: si
raggiunse sì un certo benessere economico e un alto tenore di vita, ma con
una discutibile e direi criminosa gestione dell’economia e delle risorse del
paese, caricando le fatture sulle prossime generazioni che avrebbe avuto questo paese. Si formò così
il mostro chiamato debito. Il resto si sa, l’adesione all’Unione
monetaria europea, a quell’euro e ai parametri di bilancio imposti . Una domanda alla luce di tutto ciò s’impone,
vibra, vuole esser fatta: che cosa ci
rimane dopo settantenni di quella resistenza? Ben poco di quei valori, dissolti
dalla rinascita dei movimenti fascisti, dallo sviluppo economico fallimentare
delle nostre società, dallo smantellamento dello stato sociale, dalla mancanza
di tutela di cui sono oggetto i senza lavoro, i poveri e i nuovi
poveri….insomma la lista è lunga. Nella
società della democrazia selvaggiamente liberale- e non sociale- si danno le
ossa ai poveri…, simbolo di declino e di decadenza. Ai ricchi, sempre più
ricchi si consente tutto. Credo che la
resistenza debba rifarsi, debba ricelebrarsi perennemente. Nulla, nulla è stato acquisito, quindi, per sempre. solo la morte e le macerie sociali rimangono come delle piramidi indissolubili.
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