Rabin e Peres volevano,
anzi sognavano di fare la pace con i palestinesi, ma non ci riuscirono. Il generale Rabin fu ucciso da un fanatico
fondamentalista ebraico in uno dei suoi comizi, mentre il secondo rimase in
vita e fu incoronato come presidente della Repubblica israeliana dal 2007 al
2014. Egli da uomo ottimista e pragmatico che era non aveva mai perso la
speranza di ritrovare quella via perduta dei negoziati con i palestinesi. Da
ebreo, d’origine polacca, fuggito alla persecuzione e alle forche che i nazisti
avevano teso al suo popolo, sapeva che la guerra procurava immani sofferenze e lutti e
che lo scontro militare con gli arabi non poteva garantire la pace la
sicurezza, a quelli fuggiaschi quali erano gli ebrei, venuti da ogni dove per
costruire la loro patria sulle terre dei palestinesi. Insomma, il rimpianto
Peres aveva cercato durante gli ultimi anni della sua vita di predicare questa
religione della pace ai falchi israeliani, il cui capo fila è Netanyahu, ma non
ci è riuscito affatto. Del resto, la situazione, nel mondo arabo si era
complicata assai con i sommovimenti scoppiati a seguito della primavera araba e
la stessa questione palestinese era passata in secondo piano, eclissata dalle
guerre in Siria, Libia, Iraq e Egitto. A chi giova questo scenario
apocalittico? Chiederebbe un osservatore "maligno" e attento, sennò, agli stessi
nemici degli arabi e dei mussulmani! Oggi il mondo arabo islamico è diviso in
due fazioni principali, oltre alle divisioni storiche tra sciiti e sunniti,
oggi ancor di più acuiti da bassi e incomprensibili interessi personali tra chi
comanda quei popoli, tra moderati e fanatici pronti alla “guerra santa”. Questi
banditi si erano dimenticati che le guerre sante non si fanno contro i bambini
e le donne e i propri fratelli di sangue. Peres nel vedere i massacri dei civili
in Siriia, gli ritornarono in mente quelli dei nazisti a Varsavia. Poveri
siriani, avrebbe detto! E palestinesi? Se ne occuperanno i falchi d’Israele e
la pietà di un Occidente assente e complice.
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