J’Accuse del 24 maggio 2020 una riflessione
sulla guerra alle Mafie che pullulano nel Belpaese.
Ogni volta che Rifletto su questa
terribile guerra che oppone lo stato alle criminalità organizzate in generale
in Italia ne esco con un’amara conclusione: è un fallimento totale delle
istituzioni! Questa volta, la ricorrenza della strage di Capaci ci porta a fare
uno sforzo intellettivo maggiore, anche perché il nostro paese sta
attraversando uno dei periodi più difficile della sua storia.
Tanti hanno scritto su questo
tema criticando ora i metodi e gli strumenti, ora le compromissioni e le
contiguità delle stesse forze politiche che dovevano fare fronte contro il
crimine organizzato. Certo è facile criticare quando non si è al governo e
quando non si conoscono a fondo le radici, le cause e i problemi dei territori contesi,
o infetti, direi infatti, riallacciandomi al tema della Pandemia che il mondo sta
combattendo in questi giorni. Proprio le mafie rappresentano in modo allegorico
quel grande male del nostro tempo tanto raffigurato dai grandi Autori del novecento come Albert Camus, dal drammaturgo francese Eugène Ionesco, nella sua
opera teatrale la Rhinocérite …, o in maniera più satirica e pedante da
George Orwell quando scrisse la sua opera 1984, la quale raffigura il Big
Borther ovvero il grande fratello, o padrino...somigliante ai peggiori dittatori del
suo secolo, Hitler, Stalin e altri…) come quell’orco caricaturale che sorveglia
e impedisce agli uomini la felicità e una piena libertà d’espressione e d’azione; vi sono evidentemente
anche altri autori non meno importanti…
Il male di cui l’Umanità si trova
a confrontarsi di volta in volta mira a privare gli uomini della loro ragione,
della loro capacità di giudizio nella distinzione tra bene e il male. Quel male
si chiama ora tirannia e totalitarismo, ora sottosviluppo, ora disuguaglianze,
ora inquinamento dell’ambiente e ora rassegnazione e indifferenza. Ma nella
varietà e l’intensità dei personaggi e dei temi proposti dagli autori citati
sorge quella flebile e immortale speranza che riporta alla ragione e direi alla
resistenza e alla Resilienza, termine adatto al tempo della pandemia che
viviamo con tutti le drammatiche conseguenze sul piano economico, sociale e
politico. La resistenza appunto è l’idea maestra di questa riflessione di J’Accuse.
Essa come nella peste di Camus viene portata dal dottor Rieux, o nella Rhinocérite
di Ionesco dal Personaggio Béranger che rifiutano di arrendersi alle
idee totalitarie, oppure ancora nell’Opera Orwelliana, 1984, da chi dissente e rifiuta l’opprimente controllo
sul pensiero e del lessico adoperato, va
proiettata e resa una pratica istituzionale e cittadina di questo Paese.
Proprio in ragione dei fallimenti e dell’ascesa delle criminalità organizzate
che hanno connotato i periodi precedenti, lo stato nazionale deve assolutamente
cambiare il suo approccio nella lotta alle Mafie: non più il varo di
provvedimenti che vengono prese di volta in volta, solo ed esclusivamente nei
periodi emergenziali, al fine di inasprire le pene e aggredire i patrimoni dei
mafiosi, ma l’adozione di un programma d’azione articolato su diversi piani:
a- Firma di patto politico per vincere la guerra alle criminalità
organizzate. Si devono definire delle Linee Guida e dei principi validi per
tutti i partiti politici in campo
b- Inasprimento della guerra economica aumentando la confisca dei
beni conseguiti in modo illecito e convertendoli in attività proficue per le
comunità locali.
c- Istituzione dei teatri antimafia: sarebbe uno strumento
culturale efficace nella raffigurazione dei mali e dei limiti imposti dalla cultura
totalitaria della Mafia. La nascita di un nuovo lessico e di una nuova
coscienza liberale ed espressiva potrebbe dare luogo a quel risveglio culturale
e quello sradicamento dell’oppressore che si troverebbe via via senza sudditi
da ammaestrare e da dominare.
In conclusione, avrei voluto dire
di più. Lo dirò in altra occasione. Mi sembra che uno strumento sia stato inaugurato
da Giovanni Falcone e da Paolo Borsellino: laddove le inchieste travolgono dei
poteri precostituiti e compromessi, la sfida diventa cruciale. La luce che
avevano rappresentato nella lotta all’anti-stato, come ha detto il Presidente
Mattarella parlando da entrambi i magistrati, venne spenta proprio da coloro
che si nascondono dietro l’occhio di quel grande fratello, quel fratello che si
chiama cupola, ma è solo il riflesso di poteri occulti e potenti che in verità
non vogliono il cambiamento e la fine di questa guerra. L’eredità di questi due
immolati magistrati è ancora da riprendersi e da tramandare a chi ama questo
paese e ha quel senso di resistenza richiamato poc’anzi nelle opere dei grandi
scrittori del novecento.
Commenti
Posta un commento