J’Accuse del 26 luglio 2020 la riconversione della Santa Sofia in Moschea tra simbolismo e propaganda politica
Ai tempi dell’inquisizione, quando nel 1492 gli arabi andalusi persero l’ultimo
bastione che fu l’amata Cordova in Andalusia, le conseguenze politiche,
culturali e religiose furono disastrose. La riconquista cristiana praticò la
tabula rasa di otto secoli di storia: cancellò, e ci riuscì in qualche modo purtroppo,
con le violenze perpetrate quell’identità arabo andalusa dalle radici, ma nel
contempo seppe valorizzare quel patrimonio di conoscenza e di scienza che diede
avvio al rinascimento europeo. In quel contesto i luoghi di culto mussulmani
furono profanati e chiusi e la pulizia etnico religiosa era all’ordine del giorno
dei Re e dei papi dell’epoca. Ma una moschea
in particolare, la grande Moschea di Cordova, gioiello del genio architettonico
e artistico arabo andaluso, fu salvata e convertita in seguito a Cattedrale cattolica
della Città. Arabi ed ebrei furono perseguitati e costretti alla conversione al cattolicesimo o a morire. La maggior parte dei moriscos si rifugiò nella sponda
sud del Mediterraneo.
Oggi ai tempi di Erdogan, nuovo sultano ottomano, si cerca di ridare
risalto, in modo strumentale ma alquanto efficace, a quell’identità islamica
tanto infangata da decenni di guerre, di propaganda strumentale e di
disinformazione. In verità la storia di santa Sofia sebbene sia pacificamente
scritta per sempre, essa riflette con forza l’eterno e irrisolto problema del riconoscimento
reciproco da parte delle tre religioni celesti, vale a dire Ebraismo,
Cristianesimo e Islamismo. Queste tre religioni si sono sempre combattute e
disconosciute nei secoli passati, ora cedendo ora riconquistando spazi ceduti
dall’una all’altra parte. Abbiamo visto quanto sia stato ricco e eterogeneo di
civiltà e di culture il bacino Mediterraneo. Nessun popolo, nessuna cultura e
nessuna lingua abbia mantenuto la sua purezza in quanto aveva attinto volente o
nolente da quel vento che soffia in ogni dove e impregna le menti e le anime di
un’identità universale. Oggi si tenta di riacutizzare le tensioni
strumentalizzando un problema dal valore squisitamente simbolico. La Turchia di
Erdogan riconvertendo nuovamente la Santa Sofia alla Hagia Sofia Moschea tenta
di far passare un messaggio ben chiaro: l’identità islamica nel mirino da
decenni di colonialismo, d’imperialismo e di guerre contro i paesi islamici per
gli ovvi motivi di ricerca di spazi vitali, di risorse e di legittimazione di
uno status quo iniquo in Africa e in Medio-oriente, sta entrando in una fase
assai delicata e direi esplosiva, data la frustrazione e potenza raggiunta da
tutte le parti in causa. Vi è una parte del modo arabo islamico soggetta ai
diktat e alle morse di “Cupole occidentali” che ne manovrano il destino e che ne
condizionano lo sviluppo. Se l’occidente accusa la Turchia di non rispetto dei
diritti umani, questo stesso discorso non lo fa apertamente quando vengono
calpestati e uccisi giornalisti e cittadini in paesi alleati di quest’ultimo.
Alludo ovviamente agli alleati del Golfo, che comprano centinaia di miliardi in
armi, (che serviranno per fare quali guerre poi?), e all’Egitto. Anche il
problema del Sahara occidentale viene serbato in piedi ad arte per creare
divisioni e guerre in Nord-Africa al momento opportuno.
In questo contesto complesso e conflittuale, ben consapevole della sua
rinascita come potenza regionale, e consapevole del fatto che l’unione europea,
alla quale voleva aderire è un "club esclusivamente cristiano", la Turchia di
Erdogan, tenta di rilanciare sé stessa nella riconquista di spazi e di
influenze perse dopo la caduta dell’impero ottomano e oggi in mano ai suoi rivali europei. Ha ragione o a torto? È
una domanda squisitamente politica. La
ragione appartiene ai più forti che ne dettano la composizione e il diritto. Ma
la forza che cancella il diritto degli altri ad esistere e ad avere la stessa
dignità è una forza iniqua e dura il tempo della sua vita. Questo luogo sacro
di preghiera che raffigura la sapienza divina deve insegnare ai cristiani e ai
mussulmani di rispettarsi a vicenda. Invece ciò che affiora è solo livore e
ignoranza. Ascoltate le pareti della Moschea di Cordova, vi dirà che essa è
arabo andalusa e che ciò che importa nonostante la violenza degli uomini è il
rispetto dell’uomo e della sua dignità.
Il dialogo ecumenico avviato dagli ultimi Papi deve essere incentivato e non dovrebbe essere
visto come una rinuncia alle rispettive identità, ma come stimolo alla crescita
religiosa. Difatti, fra Islam e cristianesimo risiede il fardello di secoli di
incomprensione e di rifiuto. Tale dialogo fra le due religioni monoteistiche
potrebbe evolvere lungo quattro assi: riscrittura delle memorie
storiche; ricerca di un’ampia convergenza sulle verità rivelate, Preghiera in
comune e convivenza civile e impegno per il rispetto dei diritti umani.
Solo in questo modo possiamo evitare lo scontro e la cancellazione reciproca che aveva connotato secoli di storia nel Mar Mediterraneo e altrove.
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