J’Accuse del 5 novembre sulle controverse e illusorie elezioni americane: l’America tra crisi, disillusione e la necessità di profonde riforme

 

J’Accuse del 5 novembre sulle controverse e illusorie elezioni americane: l’America tra crisi, disillusione e la necessità di profonde riforme

 

Bosch dedica alla follia un altro dipinto, da alcuni studiosi messo in relazione con la pubblicazione nel 1494 del poema di Sebastian Brandt La nave dei folli. La tavola conservata al Louvre di Parigi, reca lo stesso titolo del testo e rappresenta una barca occupata da una allegra brigata di gaudenti, secondo una interpretazione dell’insolito soggetto. Una monaca, accompagnandosi con il liuto, intona un canto insieme ad un frate francescano intorno ad una tavola sulla quale sono posati un piatto di ciliegie e un bicchiere.

Non è certamente l’America del cosiddetto “Sogno americano/ American Dream” quella che è oggi sotto i nostri occhi oggi, ma è un’America divisa e divisiva tra conflitti interni e guerre internazionali ( Ucraina e Medio-oriente, dove i soldi dei contribuenti americani vengono dati ad ucraini e israeliani a palate, in nome e sul conto delle finanze pubbliche per mantenere un ordine mondiale che si sta sgretolando proprio perché l’attuale presidente Biden e i suoi predecessori, non hanno governato le crisi né ceracto di trovare le soluzioni opportune per risolvere o canalizzare i conflitti se le disuguaglianze nel mondo. Una superpotenza come gli USA non può ignorare quali sono i suoi limiti e le gravi conseguenze verso le quali sta portando il mondo intero per colpa di politiche e guerre finanziate con centinaia di miliardi di dollari, facendo crescere il debito americano a vantaggio delle industrie belliche e delle potenti lobby  che governano il pianeta. Ci si domanda sovente sul ruolo della diplomazia americana nella guerra d’Ucraina. Sin dallo scoppio del conflitto, Biden ha scelto di non trattare. Perché? Perché l’America dei “Democratici americani” non ha capito che il “cortile ucraino” non è fondamentale per il mantenimento della potenza americana e men che meno per il rafforzamento dell’Unione europea? Evidentemente i piani loschi dietro all’allargamento (Nato e UE), mai dichiarati in modo chiaro e sincero, miravano all’annientamento e all’indebolimento del nemico russo. Tale obiettivo non è riuscito, benché si è detto e ripetuto sin dall’inizio, che la Russia e il suo regime sarebbero crollati dopo qualche mese dallo scoppio della guerra. Si è messo il bavaglio a tutti di non criticare questa linea e chiunque avesse osato dissentire lo avrebbero accusato di tradimento. Questa linea di censura e d’isolamento contro i dissidenti, assunta tuttora nel conflitto, la dice lunga sulla matrice poco democratica della conduzione della medesima. Ma è e rimane un grande fallimento della politica estera americana di cui la Harris oggi si presenta, per i democratici, come la continuatrice. La linea della guerra ad oltranza contro la Russia è un imperativo per l’establishment a guida democratica sarà perché a loro piace giocare con le vite degli altri o peggio ancora sarà un modo per sperimentare le loro armi e arricchire la potente lobby dell’industria bellica americana che ad ogni visita di Zelensky a Washington, si ritrova nelle tasche un mucchio di commesse e ordini militari a favore di Kiev. Scherzando su questo argomento, in una dichiarazione del loro rivale  repubblicano Trump ha detto testualmente: “ che nessuno come Zelensky abbia mai goduto di tante larghezze da parte delle finanze pubbliche americane.” E ha completamente ragione. Il problema fondamentale per trovare una soluzione al conflitto che oppone Russia e americani ed europei è la riapertura del negoziato e il raggiungimento di un accordo duraturo sulla sicurezza e la pace in Europa, cosa che i democratici vogliono raggiungere solo con la guerra. Ma non ci sono riusciti finora e non ci riusciranno mai. Le compromissioni e il silenzio sul genocidio a Gaza, è un altro versante del fallimento dell’America e della sua politica estera nella regione medio-orientale. La cosa più grave è che l’America democratica ha non solo fornito le armi e la protezione allo stato ebraico, ma ha persino censurato e represso i movimenti popolari e studenteschi che hanno protestato contro il genocidio e il mancato raggiungimento del cessate il fuoco. Che cosa dire di fronte a queste aberrazioni della democrazia americana? Sono l’eccezione o la regola? Quale candidato alla presidenza degli Stati Uniti ne parla in maniera chiara? E’ chiaro che le elezioni americane si vincono su una miriade di temi. In primis la lotta all’immigrazione clandestina, l’aborto, l’andamento dell’economia e l’abbassamento della pressione fiscale, ma anche su un tema caro ai repubblicani e vale a dire la protezione dell’economia americana dalla concorrenza sleale dei prodotti europei ed estremo-orientali. Il liberismo economico non funziona quando impoverisce i produttori locali. E’ visto come un nemico mortale. I democratici non lo hanno capito ancora, perché sono legati ai poteri finanziari e bancari che governano il pianeta e non a quel mondo di contadini e piccoli industriali della profonda America. Sono loro la base più importante che sostiene il tycoon, ma l’America che governa non è espressione del solo voto popolare ma è anche un compromesso con le lobby che condizionano i presidenti eletti. Lo si capisce quando si va alla Casa Bianca e quando si affrontano crisi come il genocidio a Gaza o la gestione della guerra di logoramento contro la Russia. Alla fine, un presidente ha sempre le mani legate, pena il suo assassinio o il suo impeachment da parte del congresso americano. Ma l’America odierna ha bisogno per continuare a governare il mondo di profonde riforme e svolte. Direi in una parola: di ritornare ad essere democratica, egualitaria e aperta a tutti. Il fatto che le sue istituzioni siano in mano a lobby poco democratiche e rappresentative degli interessi americani la qualifica oggettivamente di essere una "pseudo-democrazia". Lo stesso sistema di voto che elegge il presidente americano andrebbe modificato con le sue disuguali attribuzioni di voti agli Stati Confederati, cosiddetti “Grandi elettori” che concorrono nell’elezione del presidente. Va sostituito, a mio avviso, con un sistema di voto proporzionale il quale darebbe ad ogni cittadino il diritto di concorrere nella scelta del presidente su una base prettamente proporzionale. Ad ogni modo, abbiamo assistito nelle ultime presidenziali americane che presiedenti che anni avuto più voti hanno perso perché il sistema dei voti attribuiti agli stati si è rivelato ingiusto. ( Caso Clinton/ Trump e Bush/ Al Gore) Ma un ‘America divisa così come si presenta oggi non è in grado di fare le riforme richieste. La povertà è dilagante nel paese, così come l’aumento dell’insicurezza e dei conflitti inter-etnici, l’accrescimento della spesa pubblica e lo smantellamento di quel poco di stato sociale che si è conseguito finora sono dei segnali interni da non sottovalutare. Una guerra civile potrebbe riscoppiare tra gli stati e tra le diverse etnie e interessi confliggenti che connotano il paese. La scelta "ideale" e non elettorale, ahimè, non sarebbe tra Harris e Trump, ma è tra o il ritorno al lustro del sogno di libertà e di democrazia che ha connotato la storia del paese o la follia e l’inciviltà a cui abbiamo assistito finora nei teatri americani, interni e internazionali. I due candidati rappresentano interessi confliggenti, ma sempre convergenti quando si tratta di difendere Israele, gli africani o i sudamericani, gli ucraini o Taiwan  e non i diritti umani e il diritto internazionale che devono essere il baluardo della democrazia americana. In questo marasma americano è necessario edificare e promuovere un mondo multilaterale affinché l'America ritrovi la ragione dopo tanta ebbrezza di potere e di sopraffazioni. 

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