J’Accuse dell’11 gennaio ’25 la vicenda di Cecilia Sala tra luci e ombre e la sua strumentalizzazione politica

 

J’Accuse dell’11 gennaio ’25 la vicenda di Cecilia Sala tra luci e ombre e la sua strumentalizzazione politica 

 



Volevo affrontare l’odierno articolo con un approccio storico e meno propagandistico di quanto fanno i giornali e le televisioni occidentali. Purtroppo siamo sempre di fronte ad un modo di dare la notizia che rimane sempre parziale, menzognero e superficiale e la sua lettura mira sempre a nascondere gli aspetti più importanti a mio avviso.

Ai tempi della fine della seconda guerra mondiale, gli americani erano i soli detentori dei segreti della bomba atomica che scaricarono su Nagasaki e Hiroshima. Si pensò allora che nessuno avrebbe rivaleggiato con Washington nelle sue ambizioni imperialistiche ed egemoniche sul mondo. Erano, per fortuna, fino prova contraria, le cosiddette democrazie occidentali che trionfarono sulle dittature Nazifasciste, e quindi il loro monopolio dei segreti militari, era più che legittimo, di fronte alle crescenti minacce dell’Unione sovietica, che anche essa era in corsa per costruirsene la sua. Gli anni scorsero e ben presto nel 1949, l’Unione Sovietica fece esplodere la sua prima bomba atomica, denominata RDS-1 o "Primo fulmine", nel poligono di Semipalatinsk, nell'attuale Kazakistan. Fu proprio grazie ad un gruppetto [1]di scienziati e politici americani che la parità atomica fu raggiunta e fu, a mio modesto avviso di fondamentale importanza nel mantenere gli equilibri futuri e una pace che è durata fino al 1989, anno della caduta del muro di Berlino. Questo che cosa vuol dire: la deterrenza non va vista sempre come un male, ma in fondo grazie a quell’equilibrio del terrore, il confronto tra americani e sovietici, ora sostituiti dai russi, è stato evitato e con esso l’olocausto nucleare che rischiamo sempre qualora non vengano risolti i conflitti e i conteziosi con il dialogo e il rispetto reciproco.

Nella vicenda dell’arresto dell’Ingegnere iraniano Abedini ricorre qualcosa che abbiamo visto tra gli anni 1945 e 1949 del secolo ossia la volontà degli americani d’impedire ai propri nemici di avere quella tecnologia militare e quelle armi che minaccerebbero il suo impero e i suoi alleati in Medio-oriente e nell’Europa occidentale. Ma alla fine, come abbiamo visto, il sapere e il Know how della tecnologia militare, passano sempre. Nessuno può impedire la loro diffusione che avviene, volente o nolente, presto o tardi. Questo stesso atteggiamento diffidente e esplicitamente negatorio ha accompagnato il lungo processo per avvallare il suo programma nucleare avvenuto nell’ambito dell’AIEA, al quale hanno partecipato le grandi potenze mondiali. L’Accordo firmato nel luglio 2015 ha retto fino all’elezione di Trump. Con il suo ritorno e l’acuirsi delle guerre medio-orientali, il clima che regna oggi tra Iran e Occidente è di totale sfiducia, esasperato dalle paure e le pressanti richieste di attaccare le centrali nucleari iraniane, al fine d’eliminare ogni parità atomica che cambierebbe tutto in Medio-oriente.

Ora tornando al succo della questione, eticamente l’arresto di Abedini è molto discutibile, perché a nessuno può essere impedito di sapere e di avere la tecnologia dei Drone, oggi largamente diffusa e conosciuta tra tutte le potenze. Sul piano giuridico, come è stato detto da alcuni osservatori, presenta dei vizi riguardo alle accuse formulate e alle prove raccolte contro di lui. E’ chiaro che la vicenda dello scienziato iraniano è una questione prettamente politica e come tale va affrontata col dialogo e la risoluzione delle questioni sul tappeto. Siccome la stampa e le televisioni non dicono tutto sui veri problemi, allora tocca a noi fare le opportune delucidazioni. Non possiamo andare così con le guerre e i genocidi a danno dei più deboli perché venga garantita la nostra sicurezza. Prima o poi arriverà un giorno in cui ce ne renderemo conto e sarà ben tardi. Mi auspico che questa mia riflessione a carattere politico e storico risvegli un po' di coscienze e ri-dia al nostro popolo addormentato quella ragione soffocata e quella dignità calpestata da chi non rispetta la nostra storia e i nostri valori di nazione indipendente e rispettosa delle altre. Questa vicenda non finisce con il ritorno a casa della Sala, a cui auguriamo ogni serenità, ma con la riapertura del dialogo con gli iraniani e allargherei persino ai russi, loro alleati. L’occidente non può trincerarsi dietro alla sua superiorità militare, sapendo bene che prima o poi questa superiorità verrà meno. E gli stessi israeliani, autori del genocidio di Gaza, risponderanno prima o poi di tali crimini. Non dimentichiamoci il mandato d’arresto contro Netanyahu, emesso dalla Corte Penale Internazionale. In definitiva quello che non ho apprezzato è la strumentalizzazione politica di questa vicenda. Le lacrime e le emozioni da coccodrillo da parte dei suoi protagonisti. Gli esseri umani non valgono lo stesso. Agli inferiori il dovere del riscatto.



[1] La rete di spie comprendeva l'economista Angela Chapman, il fisico Raymond Boyer e il deputato comunista Fred Rose, che passava ai sovietici i verbali delle sedute straordinarie e segrete dedicate alla discussione sui risultati americani del Progetto Manhattan.

 

Fondamentale, come ricorda Alfredo Mantici in Spie atomiche, anche l'operato di Klaus Fuchs, cittadino tedesco in fuga dal regime nazista riparato in Gran Bretagna. Fuchs fu allievo di Max Born ed è ritenuto uno dei più grandi teorici della storia del Novecento. Entrò a far parte dell'équipe di scienziati del laboratorio di Harwell per le ricerche atomiche, e fu messo a capo di un dipartimento nel 1942, per poi andare in America alla Columbia a lavorare al Progetto Manhattan l'anno successivo. Fuchs, nota Mantici, fu "l'inventore di un metodo per calcolare l'energia di un assemblaggio fissile estremamente critico" e controllare la trasformazione dell'uranio in plutonio, decisivo per costruire un'arma atomica. Prontamente consegnato all'Nkgb, l'onnipotente servizio segreto di Mosca, per tramite della spia Harry Gold, industriale chimico di Philadelphia figlio di cittadini russi. E negli ultimi anni, importante anche lo studio che ha portato al nome di un altro agente doppiogiochista, Oscar Seborer, cittadino americano che, come ricordato da Davide Bartoccini su Il Foglio, passò documenti particolarmente preziosi ai sovietici.

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