J’Accuse di domenica 12 gennaio sull’assassinio di Ramy, un ragazzo egiziano immolato da una logica assassina
J’Accuse di domenica 12 gennaio sull’assassinio di Ramy, un ragazzo egiziano immolato da una logica assassina
E’ deplorevole pensare che chi ha il dovere di tutelare l’ordine pubblico faccia e dica cose come quelle che abbiamo visto nel filmato stesso dell’inseguimento della gazzella dei carabinieri. Non è la prima volta che simili fatti di violenza sono perpetrati da carabinieri nell’esercizio delle loro funzioni. Basti ricordare l’assassinio con i calci in faccia a Stefano Cucchi[1]. Premetto che la benemrita Arma dei Carabinieri ha la stima e il rispetto di tutti i cittadini. Si cerco per anni di falsare e deviare le indagini, ma alla fine la sentenza di condanna arrivò e furono condannati i carabinieri che lo assassinarono.
Ora
inseguire due ragazzi, pur rei di non essersi fermati al posto di blocco, con
quella velocità, rischiando peraltro di causare danni ai passanti e ad altri veicoli,
è davvero eccessivo e inappropriato, vista anche la pericolosità di tale
azione. Ancor più ripugnante è sentire dire dai carabinieri ( dell'inseguimento) : "non
sono ancora caduti...". Si sente il loro rammarico che non è già avvenuto. Insomma, una
vicenda raccapricciante che va sanzionata con le opportune azioni
disciplinari immediate e con un processo giudiziario che accerti le
responsabilità e formuli delle pene adeguate a carico dei due militari. La mia
non è una difesa ovviamente di chi non si ferma al posto di blocco che è un
dovere di tutti i cittadini, ma dell’inadeguatezza dell’azione dell’inseguimento
che doveva fermarsi una volta sentita la sua pericolosità sia per la
cittadinanza sia per i ragazzi che nel corso di tale azione hanno perso anche il
casco. L’accanimento contro di loro è il problema originario. Si poteva
prendere la targa e agire successivamente con delle indagini appropriate.
Invece abbiamo un ragazzo di 19 anni pur reo di tale illecito, morto per colpa
di chi non ha saputo prendere i giusti provvedimenti e il filmato ha dimostrato
la leggerezza con la quale si è fatto l’inseguimento. I problemi della cosiddetta
seconda generazione nata da persone immigrate sono una realtà che va affrontata
con delle politiche d’integrazione e con la cultura della condivisione dei
valori e della vicinanza dello stato a queste minoranze. Non credo che gli sceriffi
possano con azioni simili risolvere il problema della violenza e della
micro-criminalità. Ahimè, in questo contesto delle Destre estreme al governo,
tale violenza è destinata ad aumentare da ambo due le parti, rendendo difficile
e impossibile la convivenza civile in questo paese. Se ogni giorno vanno in
onda programmi nelle televisioni di Mediaset che denunziano e inneggiano di
conseguenza l’odio contro gli immigrati come possiamo pensare a pacificare e
integrare queste minoranze?
[1] La vicenda di Stefano Cucchi inizia nella serata del 15
ottobre 2009, quando viene arrestato perché trovato in possesso di droga.
Stefano è un geometra 31enne di Roma e viene fermato dai carabinieri nel parco
degli Acquedotti: viene trovato in possesso di 20 grammi di hashish, di cocaina
e di alcune pastiglie per l'epilessia di cui soffriva. Viene portato in caserma
e viene disposta per lui la custodia cautelare in carcere. Sette giorni dopo
muore all’ospedale Pertini. È l’inizio di una complessa vicenda giudiziaria e
di una lunga ricerca della verità, portata avanti soprattutto dalla sorella di
Stefano, Ilaria Cucchi. Il 14 novembre 2019, la Corte d'Assise d'Appello di
Roma ha condannato a 12 anni per omicidio preterintenzionale due carabinieri.
Nello stesso giorno, è arrivata la sentenza che ha visto quattro medici
prescritti e uno assolto.
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